19 febbraio 2011

Il prezzo dell'arte (fine)

DAVANTI AL QUADRO dell'oliveto, ci siamo fermati un bel po'. Veniva naturale mettersi ad una certa distanza, perché da vicino si notano troppo le corpose pennellate e non si apprezza bene l'insieme. Nel frattempo i visitatori, stanchi e accalcati come le anime in pena in certe illustrazioni del Dorè, scorrevano pazienti lungo il corrimano, posto a poco più di un metro dai quadri. Si fermavano solo perché la fila davanti a loro li costringeva, guardavano il quadro, a volte guardavano noi, poi continuavano. Non si accorgevano che due quadri dopo c'era un Gauguin – grandi chiazze di colori piatti che, come un pugno nell'occhio, interrompevano la successione dei Van Gogh – gli concedevano diligenti la stessa occhiata distratta e procedevano oltre.

Ma è davanti a questo che ci siamo persi del tutto. È un quadro di grandi dimensioni per cui l'occhio fatica ad abbracciarlo tutto, e penso debba essere così. Il cielo e i cipressi hanno le stesse forme di lingue di fuoco che si richiamano a vicenda, però contrastano fortemente tra chiaro e scuro. Eppure ci sono dei riflessi verdi nel cielo e squarci di cielo tra il verde. La vegetazione in primo piano è diversa, quasi assenti le volute e colori pastello con gialli e verdi ben diversi dal quasi nero dei cipressi. Nell'angolino a sinistra un paesaggio, sereno per le linee orizzontali delle case e dei campi e i colori solari. Al centro le due figurine in viola chiaro (forse si chiama lilla?) sembrano riflettono sulla vegetazione davanti a loro come su acqua.

Mi spiace, non sono in grado di fare di meglio, ma a tutto questo bisogna aggiungere quello che l'immagine digitale non può rendere: lo spessore del colore, lucido, abbondante, con le pennellate che assecondano gli oggetti.

L'occhio percorre le diverse zone di colore, le zone chiare e le scure, le forme... non ci si stanca mai.

Avevamo ormai trovato la risposta: due o tre capolavori sono sufficienti a giustificare anche una mostra miserella, anzi, le opere minori servono a preparare l'occhio e la mente per quelle importanti. Ma l'ultima conferma l'abbiamo avuta all'uscita, nel solito negozietto di ricordini artistici. In bella vista due poster proprio dei due quadri che ci avevano colpito (sarà un caso? forse che erano proprio gli unici due importanti?): il primo pensiero è stato "Ma guarda se devono vendere le riproduzioni dei quadri che non erano nella mostra!". Solo dopo un momento mi sono reso conto che erano nella mostra e che erano proprio quelli che avevo osservato più attentamente. Il fatto è che la riproduzione era così distante dall'originale da far pensare che fossero quadri mai visti.

Questa è la conferma del perché valeva la pena: i capolavori vanno visti in originale. Quando abbiamo raccontato queste cose agli amici uno di loro, chiamiamolo R2D2, ci ha assicurato che ora si fanno riproduzioni perfette ecc. ecc. Saranno sicuramente meglio di niente, ma non cambio idea.

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