06 gennaio 2009

Diario africano

CREDO DI ESSERMI ripreso dalle fatiche natalizie: i neuroni riprendono a funzionare e ritengo quindi di dovere a tutti qualche racconto di questa parte del mondo. Purtroppo non so cosa posso promettere, perché l'accesso ad internet qui è un po' complicato. Ma per iniziare due righe sulla situazione sociale.

La situazione del paese, come me la descrivono, è piuttosto complicata. A sentire raccontare le persone e, soprattutto, durante la lunga visita all'Apartheid Museum, mi torna in mente la storica frase "L'Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani": questo è un paese che si deve ancora fare.

Se si guarda al cambiamento portato dall'abolizione della segregazione, in una prospettiva puramente di equità "razziale", si vede che ora ci sono neri (o altri) in posti che prima erano appannaggio esclusivo dei bianchi. Ma se togliamo il filtro razziale e leggiamo la stessa cosa in altre prospettive, vediamo che ci sono persone meno preparate che occupano posti che prima erano di persone preparate. Il bianco preparato, non era lì perché preparato, ma perché bianco; il nero meno preparato ora è lì perché nero. In entrambe i casi, sia prima che dopo, posti non assegnati in base al merito. Questo è il problema.

Mi dicevano di una signora nera che si lamentava del sistema sanitario: una volta c'erano gli ospedali per soli neri... però funzionavano! E il commento mi è sembrato saggio: è il prezzo da pagare per smantellare un sistema di iniquità.

Se devo fidarmi delle sensazioni, a cinque anni di distanza dall'ultima volta che sono stato qui, mi sembra che la tensione razziale si sia di molto ammorbidita e quelli che prima vedevo dubbiosi circa la possibilità di integrare e sviluppare questo paese, ora sono più ottimisti. Sullo sviluppo sicuramente (salvo recenti preoccupazioni per l'ondata mondiale di recessione), sull'integrazione abbastanza. Mi racconta un nigeriano che, quando arrivò qui dieci anni fa da studente universitario, entrando in aula trovò che c'erano due gruppi nettamente separati: una parte dell'aula occupata solo da bianchi e una parte solo da neri. Senza pensarci due volte andò a sedersi deciso nella zona dei bianchi. Suscitò lo sconcerto di entrambe i gruppi, ma niente di più. Dopo qualche settimana di lezioni erano abbastanza mescolati.

Per favorire l'integrazione il governo segue una politica di promozione delle pari opportunità. Nessun obbligo, ma le aziende che vogliano ricevere contratti dal governo ricevono un punteggio in base alla distribuzione razziale dei loro dipendenti rispetto a quella nazionale. Influisce nel punteggio anche quello delle aziende loro clienti, in modo da raggiungere un secondo cerchio. Questo punteggio pesa nelle graduatorie per gli appalti. Le "razze" sarebbero quelle previste ai tempi dell'apartheid: bianchi, neri, colorati e indiani. A parte che i neri non si sentono affatto semplicemente "neri": sono Xhosa, ZUlu, Bantu, Sotho, Tswana ecc. Ma poi c'è il problema che alla lunga questo sistema rischia di prolungare in modi diversi una discriminazione che si sta già ampiamente superando da sola. Uno dei ragazzi che sta qui con me ammette serenamente di avere trovato lavoro perché la sua condizione di nero faceva comodo per il punteggio della sua azienda.

All'orizzonte c'è un altro problema: i neri stranieri. Soprattutto nei primi anni, il paese ha seguito una politica abbastanza aperta nell'accoglienza degli stranieri, se neri. Molto presto si sono accorti dell'errore. I neri sudafricani vivono con il complesso dell'ingiustizia subita; è storia sempre più vecchia, eppure loro continuano ad essere rivendicativi, a ritenere che il governo li debba aiutare, che la causa di ogni loro problema sia quello che hanno subito durante l'apartheid ecc. Gli stranieri non si fanno di questi problemi, pensano di doversi conquistare un lavoro e una posizione con le loro competenze e il loro impegno. Sono più preparati, lavorano più sodo, e protestano poco. Molto presto si è creato uno squilibrio: le aziende preferiscono impiegare neri stranieri. Così loro "rubano" il lavoro ai locali, che non fanno molto per guadagnarselo. A marzo scorso sono scoppiati dei disordini contro gli immigrati, soprattutto quelli dello Zimbabwe (con un po' di soddisfazione campanilistica mi sono sentito dire che sono i più preparati e i più lavoratori della regione). Ci sono stati morti. Il fattore principale è che gli stranieri sono concorrenza molto pericolosa.

Il paese è ricco e in crescita, però manca ancora la fascia intermedia. Ci sono professionisti di alto livello che sanno cogliere le opportunità e si arricchiscono notevolmente, e c'è una grande fascia di lavoratori generici, poco istruiti e poco specializzati, rinforzati da una significativa percentuale di ex minatori, pura forza bruta. Il governo fa i salti mortali per trovare occupazione per questa gente, ma invece manca la fascia media quelli che professionalmente chiameremmo specializzati e che socialmente costituirebbero il ceto medio. Qualcosa però si muove.

Diario africano - 1

1 commento:

Anonimo ha detto...

Completamente in OT e pure un po' fuori testa, ti comunico che sei stato invitato a essere amico di un nuovo blog . . . nato ieri!
Vedi un po' nei tuoi PVT di Splinder! ;-)

Ciao, R
Ps. poi ripasso, per un commento serio!