30 dicembre 2008

Titì, tiititì

Puglisi Letterio, di anni settantadue, maresciallo marconista in pensione, si trovava a Düsseldorf in visita a suo fratello, emigrato nel dopoguerra e ormai definitivamente integrato, con moglie e figli del tutto tedeschi. E proprio per poter chiacchierare liberamente nel loro dialetto, senza il disagio degli sguardi imbarazzati dei loro familiari tedeschi, avevano deciso di andarsi a prendere una birra in un vicino locale.
Angolino discreto, gran voglia di ricordare i vecchi tempi, con il piacevole sottofondo di un’orchestrina jazz. Letterio trova curioso che il cantante negro, con la sua voce calda e roca, stia sussurrando con trasporto una canzone… in tedesco! Ma non ci pensa più di tanto e dà la stura alle chiacchiere con il fratello.
I tempi della guerra si alternano alle notizie del paese, ricordi di ragazzate richiamano le successive vicende dei loro coetanei: matrimoni nascite morti. La musica di sottofondo si adatta straordinariamente alla trama dei racconti; sentimentale ma non sdolcinata, animata, con una vena di malinconia. Soprattutto il ritmo della batteria, con il titì tiititì della spazzola sul piatto, si sposa bene al crepitìo veloce della lingua natale.
Rievocano una terribile litigata della loro giovinezza, forse la più furiosa, sicuramente la prima ad avere per oggetto una ragazza. Già, quella che di lì a poco si imbarcò con tutta la famiglia. Se non fosse andata così, magari finiva male tra noi due.
Ma lei come si chiamava? chiede il fratello.
Letterio indugia un momento, giusto mentre la batteria scandisce con il suo ticchettìo A-N-G-E-L-I-N-A. Eh sì, era proprio Angelina.
Letterio ha un sussulto: come lo sapeva il batterista? Che c’entra il batterista?
Per Letterio, dopo una vita trascorsa al radiotelegrafo, i ticchettii sono lettere. Non deve proporsi di decifrarli, li sente direttamente come lettere e parole; come la gente legge un’insegna per strada, senza bisogno di analizzare il profilo di ogni lettera. E il tamburellare fitto della batteria ricorda proprio quelle trasmissioni morse che ascoltava per giornate intere.
Letterio spiega al fratello e i due ci ridono su, come di una curiosa coincidenza. Riprende la conversazione, aumenta l’intimità, aiutata anche dalle dimensioni generose dei boccali di birra tedeschi. Si finisce a parlare di come il fratello si è sistemato bene in Germania, dell’affetto per la moglie, le vicende dei figli. Poi la domanda che non andava fatta: non ti ho mai chiesto perché non ti sei mai sposato. Ma non è più una domanda imbarazzante, purtroppo Letterio ha dovuto rispondere mille volte a questo tipo di curiosità e ormai lo fa quasi in automatico, quasi senza sentire il dolore. Parla di trovare quella giusta, che meglio soli che con la donna sbagliata, che ne ha visti tanti rovinarsi la vita per aver scelto male, che se a suo fratello è andata bene è piuttosto un’eccezione…
Il batterista-telegrafista ritma di nuovo A-N-G-E-L-I-N-A in quel linguaggio che solo Letterio può capire. L’anziano uomo lo sente e interrompe il suo discorso. Gli occhi lucidi.

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