17 agosto 2010

Umidità

L’AVVENTURA INDIANA era iniziata con la battuta di don Andrea: «Servirebbe un sacerdote che sappia l'inglese e non soffra il caldo...». Con una premessa simile mi aspettavo chissà quale clima insopportabile. Poi, qualche giorno prima della partenza, ho controllato le previsioni del tempo: minima 25°, massima 28°, improvvise e quotidiane tempeste tropicali. Ho provato ad immaginare come può essere un clima, per quanto umido, a 28° (quando a Roma si arrivava a 35°). Magari la notte non rinfresca granché, ma non mi sembrava una cosa terribile...

Siamo usciti dall'aeroporto di Mumbai alle prime luci dell'alba. Dopo circa 24 ore di aria condizionata (aeroporto, aereo, aeroporto, aereo, aeroporto) l'impatto c'è stato. Umido, tiepido, appiccicoso e, come ho già spiegato, "odoroso". Ad attenderci il mitico Fr. Rui, da nove anni rettore dell'orfanotrofio, con lo scuolabus della scuola (il giovedì non fanno scuola e così il minibus era disponibile). Ci è sembrato un catorcio, ma questa è un'altra storia.

Provo a fare qualche foto. Vengono tutte appannate. Penso che la macchina faccia risaltare l'umidità dell'aria; poi mi rendo conto che è semplicemente l'effetto lenti appannate che sperimentiamo tante volte d'inverno noi occhialuti. Basta tenere la macchinetta fuori della porta (sempre aperta) del bus in marcia e tutto si risolve.

Come le lenti della macchinetta, anche l'organismo si adatta rapidamente e la sensazione iniziale viene moderata: il clima è sopportabilissimo, a parte il fastidio di essere costantemente sudati. La foto però la conservo: mi sembra una buona rappresentazione del primo impatto.

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