16 marzo 2011

Canale Mussolini

DA MESI ORMAI non scrivo nulla sulle mie letture. In parte perché mi sono "bloccato": troppi libri iniziati e troppo pochi appassionanti hanno finito per intasarmi. In parte per le solite storie: pigrizia, tempo, voglia ecc. Cerco di farmi perdonare recuperando i ricordi di un romanzo letto alcuni mesi fa.

Antonio Pennacchi, Canale Mussolini (12/10) ****
Propone le vicende di una delle famiglie trapiantate dal nord ai tempi della bonifica dell'Agro Pontino. L'autore afferma di aver sempre voluto raccontare questa storia della sua gente e lo fa da un punto di vista del tutto ovvio eppure ai nostri giorni del tutto insolito: quello di una famiglia di fascisti della prima ora, persone che hanno conosciuto sulla loro pelle le ingiustizie sociali alle quali Mussolini e i suoi amici socialisti volevano rispondere.

Questo approccio rende molto piacevole la lettura: una visione disincantata di una parte e dell'altra, una costitutiva incapacità di fare ideologia, l'ammirazione per il Duce, ma senza ignorare le sue mancanze, anche gravi, quando ci furono. A questo si aggiunge il tono scanzonato, il frequente ricorso al dialetto (al punto di far parlare Mussolini in veneto: certo che lui parlava emiliano, ma io solo così so esprimermi, lei traduca mentalmente), le innumerevoli storie personali umanissime e spesso molto belle.

Veniamo, però, ai difetti. Il primo a colpirmi (quindi in ordine di lettura, non di importanza) è stato il ruolo attribuito alle prostitute nella prima parte della storia. Giovani e vecchi, sposati e non, spesso tutti i membri maschi del clan familiare in comitiva, ne fanno un punto di riferimento cui rivolgersi per ispirazione e consigli, per celebrare feste e successi e per consolarsi in ogni rovescio di fortuna. Un po' troppo insistito e poco credibile. Per fortuna sono personaggi del prima dell'emigrazione e scompaiono nella seconda parte del libro.

Questo però è un difetto minore, anche se mi aveva portato al punto di pensare di interrompere la lettura. Il difetto principale, direi l'unico rilevante, è che il libro è troppo lungo. Se l'autore avesse avuto il coraggio di ridurlo di un terzo ne avrebbe fatto un capolavoro. Fa due salti indietro di una lunghezza imperdonabile: prima per spiegare perché scelsero di emigrare e poi, premessa della premessa, per spiegare perché avevano un amico importante a Roma... Metà libro! Un po' troppo, nonostante la piacevolezza delle innumerevoli storie che si intrecciano. Anche la trovata di interrompere ogni tanto il racconto con un "Come dice, scusi?", fa sorridere la prima volta, ma alla millesima non se ne può più. Proprio quando finalmente approdiamo nella "Terra Promessa" la storia diventa stanca (forse noi siamo stanchi) e perde freschezza.

Sono sicuro che non si tratta di una svista ma di scelte deliberate di cui l'autore è più che convinto. Se ne è convinto lui, convinceranno anche molti lettori. Io ho fatto fatica ad arrivare alla fine, pur restando con un giudizio tutto sommato positivo. Lo consiglio agli appassionati di storia e a tutti quelli che "c'erano".

1 commento:

franco ha detto...

Ho letto il suo "Canale Mussolini", premio strega 2010.
Un critico di Liberazione l'ha definito uno scandalo, l'ennesimo sdoganamento operato dalla Mondadori e dal suo padrone al revisionismo di anima fascista. "La Repubblica" invece lo ha chiamato un capolavoro, "il ritorno del grande romanzo italiano". Più modestamente, durante la lettura delle prime 200 pagine, io ho dovuto combattere tra una repulsione sussiegosa e una fascinazione che innegabilmente giorno per per giorno si insinuava tra le mie fibre. Di fronte al sangue di innocenti versato senza un apparente filo di rimorso, di fronte ad una faziosità scandita dal tormentone "Ognuno ga eà so razòn" (c'è parecchio veneto nei dialoghi), di fronte agli abitanti originari dell'Agro Pontino chiamati "marochini" dai coloni veneti, ho avuto momenti di difficoltà a continuare. Ma qualcos'altro scorre sin dall'inizio in queste pagine, ed è forse il sentimento forte dell'appartenenza: alla famiglia, alla terra, alla natura e a certa sua magia incontrovertibile.
La storia tratta principalmente dell'esodo di morti di fame dalle tre Venezie alle paludi bonificate con successo dal regime fascista (generazioni di papi ci avevano tentato, prima, ma la malaria aveva stroncato ogni volta i lavori dopo qualche anno).
Nel libro, attraverso la voce del narratore che racconta la storia a un ascoltatore non identificato ma contemporaneo, vi è la vicenda di una famiglia, che negli anni successivi alla Prima Guerra mondiale diverrà interamente fascista. Una enorme famiglia della bassa veneta che ad un certo punto dovrà emigrare in Agro Pontino. Scorrono le figure della storia, nel libro, anche da vicino. Perfino un giovane Mussolini, ancora socialista rivoluzionario, sarà al desco della famiglia, per una volta, quando sono ancora sono al Nord. Poi c'è l'esodo, lo spaesamento, la colonizzazione dell'Agro Pontino, un nuovo amore per quella terra estranea --una terribile palude malarica trasformata in una sorta di terra promessa-- che però li ha salvati dalla fame. E infine, terribili, le guerre di Mussolini, Africa, Spagna, fino al devastante '44, e i bombardamenti anglo-americani.
È un libro in cui si può ridere molto, perché l'autore fa scattare situazioni di irresistibile comicità nelle situazioni più tragiche e parossistiche. È un libro in cui si piange (lo ammetto, mi è successo, in piscina, ma credo non se ne sia accorto nessuno). È un libro in cui è perorata l'ambivalenza dell'essere e del percepire. È un libro dove non si nascondono le colpe, anche atroci e rivoltanti, ma dove non si rinuncia a mostrarne lo scorrere parallelo dei grandi sentimenti della fraternità, dell'eros, della religiosità. È, finita l'ultima pagina, un libro pietoso e che chiede pietà. È un romanzo scritto magistralmente da uno che finge di essere un idiota ma ha il talento dei grandi narratori.