24 febbraio 2013

"NON CE LA FACCIO..."

DOVENDO SPIEGARE innumerevoli volte la scelta del Papa di dare le dimissioni, ho notato che le reazioni più frequenti erano di due tipi opposti, ma basate sullo stesso errore. Alcuni dicevano, "Poverino, se non ce la fa, alla sua età, è anche giusto che si ritiri. Non lo si può costringere a restare se non se la sente". Altri dicevano, "Se il Papa si ritira perché non ce la fa, allora può ritirarsi anche un parroco, un genitore, un marito...".

Dopo un po' ho capito che sotto c'è un condizionamento mentale, che porta a capire una cosa diversa da quella che viene detta. Io dicevo, "Il Papa ha valutato in coscienza di non essere più in condizioni di svolgere il suo ministero", e l'altro capiva, "Il Papa non se la sente più di svolgere il suo ministero". Ma sono due cose diverse: "non me la sento" è una valutazione del proprio stato emotivo; "non sono in condizioni" è una valutazione oggettiva della situazione.

L'espressione "non ce la faccio" ha ormai assunto una doppia valenza: a) "non posso farlo perché supera le mie capacità", b) "non posso farlo perché non mi va". Ma ora questi due significati si stanno identificando: fare qualcosa che non mi va (b) è un atto che supera le mia capcità (a), quindi "non ce la faccio". Ogni volta, quindi, che il Papa esprime l'idea del "non posso", la gente traduce "non me la sento", con le conseguenti reazioni.

Quando l'adolescente tipo, abbandonato sul divano per riprendersi dalla fatica di crescere, chiede al suo vicino di passargli l'aranciata, quello risponde "Non ce la faccio", ed è chiaro a entrambi che vuol dire: "L'unico modo per passartela è che io mi alzi dal divano e, come puoi immaginare, mi è del tutto impossibile fare un simile sforzo".

Credo che nel suo ultimo Angelus il Papa ci abbia aiutato a dissipare questa confusione parlando di "chiamata di Dio" a compiere questo gesto. Non è mollare un peso troppo gravoso, non è essere stanco di combattere, è la serena volontà di compiere ciò che Dio gli chiede.

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