11 aprile 2018

Quante montagne per essere felici?

«AVRÀ IMPARATO DI PIÙ chi ha fatto il giro delle otto montagne, o chi è arrivato in cima al monte Sumeru?»

Domanda dei tibetani che attraversa tutto il romanzo e finisce per essere una metafora della vita. Nella cosmologia indù, il Sumeru è il monte assoluto, che arriva fino al cielo. Raggiungerlo significherebbe ottenere ogni virtù (saggezza, grazia, felicità, pienezza...), ma è impresa impossibile. Quindi: è meglio puntare direttamente all'assoluto, cercarlo con tutte le forze, anche a costo della vita; o meglio esplorare le otto montagne, meno impossibili, raccogliendo nel corso di tutta la vita quel po' di felicità, saggezza ecc. che ci è concessa?

Intorno alla storia di un'amicizia di tutta la vita, seguiamo tante vicende e tante antitesi che declinano alcuni degli innumerevoli modi di affrontare il problema del senso da dare alla propria vita. Gli irrequieti e gli stanziali; la città e la montagna; i legami affettivi e la libertà; la realtà e l'utopia.

E il lettore rimane libero di decidere: chi dei personaggi ha raggiunto il monte Sumeru? «Tu saresti quello che va per le otto montagne, e io quello che sale sul monte Sumeru?», dice Bruno all'amico Pietro, e in quel momento del libro la cosa sembra ovvia, ma poi la vita si complica...

Molte cose mi sono piaciute di questo libro. Una storia di amicizia maschile, a mio parere più difficile da raccontare rispetto ad una femminile o romantica. Un modo sereno, quasi rassegnato, di affrontare le difficoltà della vita e le proprie stesse limitazioni e di convivere con i fantasmi del proprio passato. E poi molti personaggi che ti restano nel cuore e tante relazioni complesse: padri, madri, figli, amicizie, amore.

Non è un libro sulla montagna (non credo lo avrei gradito), ma la montagna è senz'altro presente, come una sorta di interlocutore principale. Il mito tibetano ne fa intravedere il significato: la montagna è la possibilità di una vita vera, di una ricerca di senso. La città è rassegnazione, monotonia, oppressione, superficie; la montagna è vita, sfida, scoperta, radici.

Ero indeciso se dire una cosa che per i più sensibili potrebbe essere uno spoiler, ma penso che non lo sia, e i più sensibili possono interrompere la lettura qui. La domanda ovvia, leggendo il libro, è "Quale impostazione è meglio per cercare la felicità: il girovago Pietro o lo stanziale Bruno?" Ma in realtà ho il sospetto che l'autore proponga una terza figura, la mamma di Pietro, come la più equilibrata e realizzata della storia. Mi chiedo se rientrasse nelle intenzioni dell'autore arrivare a questa conclusione: la felicità non si trova in cima ad una montagna o girando per il mondo. La felicità è nascosta nell'occuparsi degli altri con amore.

Paolo Cognetti, Le otto montagne, **** (marzo 2018)


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