IERI MI TROVAVO vicino Foligno verso l'ora di pranzo, dopo aver celebrato una Messa. Dovevo trovare un posto dove mangiare i miei panini e sapevo di essere a circa trenta chilometri da Assisi. Il mio prossimo impegno era alle 18 a Roma... detto fatto!
Nessuna guida, nessuna preparazione e, devo ammetterlo, nessun ricordo delle volte precedenti in cui c'ero stato. Mi lascio portare e inizio a girare per la città. Tutto sembra pensato e costruito in funzione di S. Francesco e S. Chiara, quasi viene da dubitare che ci fosse qualcosa in questo posto, prima di loro. «Dal fatto che tu e io ci comportiamo come Dio vuole – non dimenticarlo – dipendono molte cose grandi» (Cammino 755) ha scritto S. Josemaría: Assisi illustra perfettamente il concetto.
Entro nella chiesa di S. Francesco dalla basilica superiore. Scendo nella inferiore. Sono le due e mezza: si muore di caldo anche nella penombra delle chiese, e all'aperto è peggio. Un cartello mi sorprende: indica l'ingresso alla tomba di S. Francesco. Che stupido! Non ci avevo pensato. Mi avvio verso la cripta, pensando che cosa chiedere al Santo.
Primo pensiero: la povertà. Che sappiamo vivere il distacco dai beni materiali, ciascuno secondo il proprio stato, ma tutti con la tua stessa radicalità.
Ho avuto il tempo di ripensarci: ero ormai già in ginocchio davanti alla tomba e pensavo che quella richiesta andava bene sì, ma che doveva esserci di più. Quando penso a S. Francesco non penso al povero, ma all'innamorato. Penso che l'amore di Dio e, di riflesso, per tutte le creature, sia stato il carattere prevalente in lui, molto più della sua povertà. Così è venuta la seconda richiesta: che ci decidiamo ad amare sul serio.
Ancora qualche minuto di raccoglimento e ho pensato a S. Francesco che ride. Ride sicuramente della mamma che ci distrae tutti mentre cerca di convincere il bambino che la candela la deve lasciare lì e non la può portare via. Forse ride di trovarsi sopra un altare, addirittura sopra il tabernacolo. Spero rida anche dei miei pensieri intellettual-devoti. Perché S. Francesco era un santo che rideva. E cantava e ballava.
Mentre uscivo ho messo insieme le tre cose: l'avarizia è il maggior ostacolo all'amore. È l'avarizia che non ci fa trovare tempo e forze per gli altri, ci impedisce di donare. L'amore di Dio e degli altri, invece, ci fa dimenticare dei nostri problemi e ci riempie di gioia. La gioia è dei santi.
La foto è mia. È la basilica di S. Francesco come mi ha sorpreso girando per i vicoli.
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