21 ottobre 2008

Un "ampio" discorso (2)

SECONDO PASSO

Tra i fattori importanti nella comunicazione personale ne ho tralasciato volutamente uno: l'empatia. Mi sono imbattuto nel concetto quando iniziavo a studiare Edith Stein, la cui tesi di dottorato trattava del Problema dell'empatia. Si domandava: com'è possibile che io percepisca qualcosa dello stato interiore di un'altra persona? Per lei, fenomenologa, era un problema interessante: da dove mi arriva questa percezione? È elaborazione dei dati sensoriali (vedo l'espressione del volto, i gesti ecc. e deduco che è contento)? No, perché succede anche senza bisogno di vedere o sentire l'altro (mentre scrivo stanno operando Filippo – vi invito a pregare per lui – e in qualche modo so come si sente adesso sua sorella Carolina, anche se non la vedo).

Edith arrivava a concludere che abbiamo un senso speciale che ci permette di cogliere queste cose: con la vista i colori, con l'udito i suoni, con l'empatia gli stati d'animo degli altri.

Non voglio discutere di questa conclusione, ma tornare al tema: nell'ampio spettro di contenuti che fluisce in una comunicazione tra persone, un elemento importante è la comunicazione di interiorità, che viene colta dall'empatia. Credo sia questo che rende attraenti i nostri blog preferiti: il fatto che il blog costituisce una forma di comunicazione molto personale. Dietro il tema trattato, dalla politica ai figli, dai consigli di cucina alla religione, ci piace cogliere qualcosa del cuore di chi scrive, indovinarne il tono di voce, l'umore, la personalità.

Alcuni blog non ci piacciono perché si parlano addosso. Lì non è questione di personalità, è questione di comunicazione. Si percepisce quando uno scrive solo per se stesso (e di se stesso) e mentre lo leggiamo, ammesso che ne abbiamo voglia, sentiamo che manca il dialogo. Forse la personalità, la trasparenza di interiorità, è come un condimento della comunicazione: se non c'è risulta insipida, ma non può diventare l'ingrediente principale altrimenti stufa, come mangiare il sale o un dado da brodo.

Ma forse non è questo. Forse la persona è sempre il vero oggetto della comunicazione, ma qualche legge della nostra natura vuole che ci manifestiamo discretamente, e allora si finge di parlare di altro e perfino quando parliamo di noi stessi siamo portati a farlo con distacco, senza comprometterci troppo. Per non "bruciarci" e per non stancare chi ci ascolta. Credo che si chiami pudore.

Continua.

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