09 giugno 2013

Nel tempo di mezzo

Nel tempo di mezzoNel tempo di mezzo, di Marcello Fois (6/2013) ****

Grande letteratura! La vicenda di Vincenzo Chironi, orfano cresciuto in Friuli ma consapevole di essere figlio di un Chironi di Nuoro, che si decide ad affrontare la sfida di un trapianto che gli fa molta paura.
«Se vorrai diventare parte di questa terra, imparerai cosa significa strazio… È la maledizione e la benedizione delle isole: sempre andare e sempre tornare… con strazio»,
questo gli insegna un prete incontrato all'inizio della sua storia, e questa mi sembra essere la parola chiave del romanzo: strazio. Legarsi alle persone e ai luoghi è una benedizione, ma poi ci si separa o ci si ferisce, e questo strazio è il prezzo da pagare per quella benedizione.

I personaggi sono intensi e asciutti come la terra in cui si muovono; abituati a soffrire e capaci di affrontare la vita con forza e dignità. La lingua di Fois è una continua poesia, raffinata al punto giusto per non essere leziosa.

Curioso il rapporto con la religione: direi che Fois imbeve la sua opera di una religione senza fede. Appaiono di tanto in tanto riferimenti alla religione, ma sempre sotto forma di atti esteriori e poco sentiti o, talvolta, poco capiti. I preti sono brave persone, le donne pregano, si va a Messa la domenica (o magari no), si fa il segno della croce... ma Dio non c'è.
«La gente non pensa a Dio, pensa solo al bisogno di Dio, perché Dio andrebbe accolto in una stanza apposita: è un ospite per cui si tiene libero uno spazio, un letto, una sedia, un tavolo, una lampada»,
sono ancora parole del prete di prima. Il mondo di Fois è un mondo che non ha fatto posto per Dio. Ma poi, proprio di quel prete, ci dice che è «prete per vocazione, non per obbligo», assimilando il suo servizio a Dio, all'apparenza stanco e senza entusiasmo, con la fedeltà del cane che ha sempre guardato con devozione al suo padrone. E ci vuole un po' di fede per capire una cosa così.

Ancora, l'unica volta che vediamo il protagonista pregare, lo fa in friulano, una lingua estranea a quella terra. Come se il pregare stesso fosse estraneo.

Infine una lunga riflessione su un san Matteo che è anche un po' Giacobbe e lotta con l'angelo che lo guida a scrivere il Vangelo. Per arrivare alla sintonia con Dio prima bisogna lottare, soffrire, svuotarsi. Mi chiedo se questa sia la situazione dell'autore: una persona che sta lottando con Dio. Sicuramente, oltre all'ammirazione per la sua arte, merita preghiere per la sua ricerca.

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