16 ottobre 2007

L'arciere

Ancora una traduzione da Monasterio. Questa volta mi ispira un commento, ma il post è già lungo così, quindi lo commento a parte.

L'arciere si riveste lentamente, con la solennità di un sommo sacerdote che si preparasse a celebrare il suo stesso funerale.
Si copre il petto con un panciotto liscio perché la corda non si impigli nei vestiti. Si protegge con il parabraccio; regola la cinghia che sosterrà l'arco e il guantino che proteggerà tre dita: indice medio e anulare.
Ha già scelto i contrappesi per l'arco e il filo che utilizzerà. Tende e calibra l'arma, sceglie la freccia con gran cura, estraendola dalla faretra. La contempla e l'accarezza come se volesse comunicarle un ultimo messaggio.
Poi si piazza al suo posto, alla giusta distanza dal bersaglio. Regola il mirino, posiziona la freccia, tende la corda e scocca.
-Adesso - mi dice - l'ultima parola sta alla freccia. Non posso chiederle di tornare indietro.
L'arciere ha ragione. La vita quaggiù è un prepararsi poco a poco per quell'unico tiro che non ammette ritorno. Sono libero, la mia libertà e così grande che posso centrare con la mia vita il bersaglio dell'eternità. Io dico "per sempre", "ti amerò in eterno", e mentre lo dico mi faccio simile a Dio stesso, che è Eterno, che è fedele.
La freccia non ha ancora lasciato l'arco. Posso ancora regolare il mirino e correggere la mira. Posso cambiare la traiettoria, ma non voglio la povera libertà del cagnolino che rifà la sua vita ad ogni osso che trova, ma non prende impegni con nessuno.
Io so che arriverà un giorno in cui il mio amore diventerà eterno. Il giorno della mia morte la freccia verrà scoccata e a lei spetterà l'ultima parola.

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