UN APOLOGO forse un po' demente, che ha bussato alla mia immaginazione mentre leggevo il discorso del Papa a Ratisbona (vedi sotto).
Dopo un viaggio di tre settimane, il prof. More, grande etnologo di Oxford, ha finalmente raggiunto lo sperduto villaggio di Kamdurk nel Tibet. Sa di essere il primo studioso a visitare il villaggio rivelatosi solo di recente in quanto patria dei migliori scalatori di ghiaccio del mondo. Nonostante le difficoltà di comunicazioni ha avuto modo di far annunciare la sua visita e sa di essere atteso dal capo del villaggio.
Nel brevissimo tragitto attraverso le poche case ha modo di notare una cosa ben strana: tutti gli abitanti camminano a quattro zampe, con i ramponi da ghiaccio fissati ai rozzi scarponi e appoggiando le mani su quegli attrezzi che più che una picozza si direbbero dei ramponi con maniglia, già noti agli appassionati proprio per l'utilizzo che ne fanno gli scalatori di Kamdurk.
Oyu Dawa, capo del villaggio, dopo i rituali abbracci e baci, lo invita ad accomodarsi in terra sulla pelle di yak che una donna ha appena disteso per lui. Il prof. More è venuto con molte domande a cui vuole trovare risposta, ma l'educazione vuole che sia il padrone di casa ad iniziare la conversazione, quindi estrae il suo taccuino e aspetta.
"Tu grande sapiente?"
"Be', io sono un professore universitario... sì, io sapiente".
"Di dove tu?"
"Insegno ad Oxford, nel Regno Unito".
"Regno unito di Adaxfod... mai sentito. Dove?"
Il professore ha passato tutta la sua vita a barcamenarsi in dialoghi di questo tipo. E qui parlano persino un po' di inglese, per cui questa conversazione non lo scompone minimamente.
"Molto lontano", spiega. Il capo sorride sdentanto.
"Ah, io stato! Io andato Delhi: molto lontano".
Ormai la conversazione è avviata e il professor More non è più costretto a rimandare le sue domande. Per cui attacca:
"Voi camminate tutti con i ramponi?" Ha già osservato che dentro casa sono tutti scalzi, ma c'è un paio di ramponi a portata di mano e il professore li indica con gesto espressivo, temendo che Oyu possa non conoscere il termine.
"Raponi per camminare. Noi cammina con raponi".
"Sì, ma i ramponi servono per il ghiaccio. Perché li usate anche in paese?"
"In paese ghiaccio".
"Io non ho visto del ghiaccio in paese. Forse c'è in inverno, ma ora no".
"Ora no ghiaccio. Dopo ghiaccio. Raponi bene su ghiaccio. Ora terra e legno. A Delhi visto strade di pietra: raponi non bene su pietra".
"Ah, quindi almeno sulla pietra vi togliete i ramponi".
"Raponi bene per camminare, pietra non bene per camminare: noi togli pietra, no raponi ".
Lo studioso ne ha sentite tante nella sua carriera, ma questa assurdità proprio non riesce a mandarla giù.
"Ma non vede che avete invertito l'ordine delle cose? È vero che sul ghiaccio si cammina bene con i ramponi, ma non è l'unico modo di camminare e dove non c'è ghiaccio si cammina meglio senza. E poi, guarda un po', dentro casa non usate i ramponi, no?"
"Dentro casa non camminare, dentro casa non raponi. Fuori casa raponi sì".
"Ma così vi limitate da soli. Dovreste pensare a che cosa serve all'uomo e cosa non serve".
"Questo punto importante: cosa serve a uomo? Tu sapiente: tu dire. Cosa volere Dio per uomo?"
Al professore scappa un sorriso di superiorità. Come sono ingenui questi selvaggi!
"Se mi chiedi di Dio, non ho nulla da dire. Non sono sicuro che si possa dire qualcosa su Dio e, tutto sommato, non credo che esista".
Oyu Dawa, in tutta la sua lunga esperienza di anziano e capo villaggio, non ha mai sentito dire una sciocchezza simile. Eppure è sicuro di aver capito bene. Scoppia in una sonora risata.
"Tu non sapiente se tu non sapere dire di Dio. Io mandare nostri sapienti in tuo regno di Adaxfod e loro insegnare voi Dio. Poi insegnare anche come camminare".
P.S. due frasi di Benedetto XVI a Ratisbona (12/9/2008):
«Se la scienza nel suo insieme è soltanto questo, allora è l'uomo stesso che con ciò subisce una riduzione. Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del "da dove" e del "verso dove", gli interrogativi della religione e dell'ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla "scienza" intesa in questo modo».
«Superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell'esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza».
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