25 novembre 2008

Indifferenza

In un momento di follia, ho buttato giù un brevissimo racconto. Fedele al proposito di non annoiare con post troppo lunghi, riporto qui solo l'inizio. Il racconto intero lo potete trovare su materiale grezzo.

ALADINO SI GUARDÒ INTORNO stupito. Qualcosa di insolito se l’aspettava pure, ma non di ritrovarsi così: al centro di… “questo”.

Gli mancavano le parole, i concetti, per afferrare la sua situazione. Si trovava in piedi su una superficie bianca, liscia ma non scivolosa, perfettamente piana ed estesa in tutte le direzioni. All’infinito. Nessuna irregolarità, nessun rilievo, nemmeno una sfumatura di colore… nulla. E nessun oggetto: nessuna pianta, nessun animale, nessuna presenza umana, nemmeno qualche traccia di una presenza. Un immenso spazio vuoto, un panorama impeccabilmente uniforme. Ovunque guardasse, la linea dell’orizzonte descriveva una perfetta circonferenza bianca, lì dove quel perfetto pavimento bianco lasciava il posto al grigio del cielo.

Anche il cielo, perfettamente uniforme. Una leggera foschia gli conferiva un aspetto grigio chiaro, assolutamente uguale dappertutto. Avesse voluto orientarsi con il sole non gli sarebbe stato possibile: in nessuna direzione si notava una maggiore o minore luminosità che permettesse di indovinare la posizione dell’astro. La luce proveniva da tutta la volta in ugual modo. Ovviamente il suo corpo non proiettava alcuna ombra.

Decise di sondare fino in fondo quella assurdità. Si sedette in terra, a gambe incrociate, stese le braccia nella posizione della meditazione, chiuse gli occhi e respirò a fondo. Lentamente. Senza fretta iniziò ad ascoltare il suo corpo: non sentiva né freddo né caldo, né nell’aria immobile intorno a sé, né in alto – perché nel deserto invece lo senti il sole che di giorno ti brucia sulla pelle e quello stesso calore, di notte, te lo senti succhiare via dal cielo gelido – né dal basso, nella perfetta neutralità di quella strana superficie su cui poggiava.

Annusò l’aria: nessun odore, nessun aroma. Provò a ricordare il salmastro del mare, l’odore pungente di uomini e animali accaldati, tutte le varietà di aromi e di lezzi della città. Un campo dopo la mietitura, la sabbia umida del deserto alla prima pioggia, un’oasi in primavera… Si era disposto a riconoscere anche il più remoto accenno di un profumo, ma: niente.

Provò allora ad ascoltare. Immaginò di estendere la sua attenzione sempre più distante. Avrebbe potuto udire il respiro di una lucertola a un tiro di sasso, il fruscio di una foglia, il battito di qualsiasi cuore, oltre al suo che percepiva quasi assordante. Ancora niente; solo la consapevolezza della propria presenza.


Continua qui.

3 commenti:

Giorgio ha detto...

Caro Don Mario, riesce sempre a sorprendermi: anche un ottimo narratore!! C'è qualcosa che non sa fare?
Me ne ricorderò la prossima volta che mi sentirò in difficoltà e imprigionato.
Le segnalo un post di Prof2.0 di lunedi 24 novembre sulla difficoltà dei temi in classe, che si può estendere alla difficoltà della vita di tutti i giorni.

Anonimo ha detto...

l'ho letto di corsa, ma mi è piaciuto già così a grandi linee, ci ritorno con calma e me lo gusto!

Ciao, R

Anonimo ha detto...

La cosa curiosa è che c'è gente che il Paradiso se lo immagina così (e non gli piace), senza capire che invece sta immaginando proprio l'opposto.
Ciao, Cri

Ps. Insisto, guarda i commenti ai post più vecchi. C'era una tua domanda in sospeso alla quale ho risposto :-)