16 aprile 2012

Guerre, armi e democrazia

Paul Collier, Guerre, armi e democrazia (4/2012) ****

Economista, esperto in quelli che lui stesso ha battezzato i paesi dell'ultimo miliardo (riferito al miliardo più povero della popolazione mondiale), in questo saggio esamina sostanzialmente due questioni: se la democrazia aiuta i processi di pace e quali siano i fattori economici che più influiscono sulle guerre. (Qui trovi due suoi brevi interventi a TED.com con sottotitoli in italiano, molto interessanti).

Sul primo punto scarica subito la sua doccia fredda: se per democrazia si intende semplicemente fare le elezioni ogni tanto e, magari, stabilire pure un limite al numero di mandati, la risposta è semplicemente "NO". Questa è democrazia apparente e i dittatori di tutto il mondo hanno già capito che le elezioni sono un utile maquillage per tenere buoni i benpensanti occidentali, mentre il limite al numero di mandati non costa nulla metterlo, salvo poi toglierlo quando si arriva alla scadenza. Tutti i dittatori, oggi, fanno così.

Per i fattori economici, altro principio duro e crudo: analizzando tutti i possibili fattori che gli vengono in mente (malcontento, democrazia, situazione economica, divisioni etniche, tipologia del territorio, pressioni dall'esterno... da bravo esperto riesce a immaginare molti più fattori di quanti ne avrei sognati) la conclusione è scoraggiante. Secondo le sue analisi statistiche la guerra si fa tutte le volte che è economicamente conveniente provarci e si evita tutte le volte che non è conveniente. Punto.

Le sue osservazioni sono disarmanti e sempre scientificamente (direi "puntigliosamente") analizzate. Quando la comunità internazionale pone l'embargo al commercio di armi con una determinata nazione, immediatamente scendono le quotazioni di borsa di tutti i produttori di armi che commerciavano con quella nazione. Contemporaneamente, però, le azioni di uno o due fabbricanti salgono. Perché gli analisti dell'ONU non sanno trarre la conclusione che capirebbe anche un bambino?

Quando si danno aiuti economici ad un paese povero si impone che non vengano spesi in cose come le armi. Magari si finanziano direttamente progetti concreti di sviluppo. Il paese beneficiato è ben contento: finanzia istruzione, sanità e sviluppo economico con gli aiuti internazionali, con i soldi risparmiati finanzia l'esercito e la corruzione. Da buon economista Collier parla conti alla mano: basta confrontare spese belliche e aiuti internazionali in un dato paese per un certo tempo. Tutte le volte che crescono i secondi crescono anche le prime. Non è difficile notarlo, no? Si può anche misurare: circa il 40% degli aiuti in un modo o nell'altro finisce in armamenti.

L'autore è ameno: qua e là nel libro si rivolge al governante di un paese dell'ultimo miliardo. "Se mi stai leggendo, vai avanti, tra poco arrivano dei consigli molto interessanti su come puoi conservare il potere". E i consigli poi arrivano: su cosa si potrebbe fare per questi paesi, ma anche, accidentalmente, su cosa potrebbe fare un governante per conservare la poltrona e la pelle. Di seguito le sue proposte, dall'ultimo capitolo del libro.

Primo: forza in cambio di democrazia. Il governante medio deve pompare l'esercito per mantenere il potere, ma questo rende l'esercito anche il suo principale concorrente (è statisticamente dimostrato). Il dittatore medio teme il suo esercito più degli avversari politici o delle minacce esterne. Offriamogli una "assicurazione contro i golpe", forte del sostegno di una forza di intervento internazionale, in cambio di garanzie ragionevoli di miglioramento democratico "vero" (cioè non elezioni di facciata che non servono a granché).

Secondo: controllo reale della corruzione. Non basta che i donatori chiedano conto di come vengono spesi i loro soldi, bisogna imporre la costituzione di una burocrazia contabile sufficientemente complessa e competente da ostacolare realmente almeno il grosso della corruzione.

Terzo: incentivazione realistica del disarmo. Vincolare espressamente l'aumento o la riduzione degli aiuti all'andamento della spesa militare di un paese. Come l'Unione Europea sanziona quelli dei suoi membri che superano una certa quota di indebitamento pubblico, così la comunità internazionale potrebbe stabilire l'entità "ragionevole" della spesa militare di ogni paese e punire in termini di riduzione degli aiuti economici quelli che superano le quote di spesa indicate.

1 commento:

Don Mario ha detto...

@Vincenzo
Ho pensato che il tuo commento fosse personale e non da pubblicare. Ti ringrazio per la segnalazione: mi piace e penso proprio che farò la traduzione che mi suggerisci. Chissà quando, però...
Forse ti toccherà abbonarti al mio canale youtube.